martedì 10 maggio 2011

La fine è il mio inizio: l’impalpabilità dello spirito, l’impossibilità della pellicola

di Alessandra Vitullo

A due anni dalla morte di quello che riduttivamente potremmo definire il giornalista, Tiziano Terzani, la casa editrice Longanesi pubblica, per la sua collana il Cammeo, La fine è il mio inizio. Più che un libro è il diario di una vita. Folco Terzani, figlio di Tiziano, raccoglie, nell’anno precedente alla morte del padre, il ricordo delle intense esperienze vissute da una delle più grandi penne del giornalismo italiano.

La fine è il mio inizio è l’eredità ricevuta in dono da un figlio, da parte di un padre che sa di essere arrivato alla fine dei suoi giorni, quegli ultimi giorni resi insopportabili da un tumore allo stomaco che gli ricorda continuamente la sua misera esistenza corporea. Tiziano ripercorre i suoi circa settant’anni di vita non da giornalista, ma da uomo che ha fatto del giornalismo la sua missione su questa Terra. La sua è un’avventura lunga una vita, pioniere in quella misteriosa Cina, che ancora oggi resta impenetrabile per noi Occidentali e che allora, più che mai, era un altro universo e a volte una chimera per chi vedeva nella politica di Mao la concretizzazione di un ideale.

La Cina è una delle grandi protagoniste della storia e della vita di Terzani, fonte di forte passione ma, nello stesso tempo, di una terribile disillusione, per lui che, giorno dopo giorno, ne vedeva disattendere le speranze, sfiorire il futuro, per lui che si ritrovava a raccontare la deviazione e la strumentalizzazione del comunismo, e per comprendere solo alla fine che, se si era follemente innamorato di questo posto, è perché ne aveva la certezza che prima o poi l’avrebbe abbandonato.

Mentre tutto d’un fiato si leggono le peripezie di Tiziano, che riesce a salvarsi anche da una fucilazione nella Cambogia dello scellerato Pol Pot, si viene bruscamente interrotti da quelle frasi che riportano i tratti della stanchezza, del dolore e della fatica, che un corpo malato fa nel raccontare le emozioni di una vita intera. E così veniamo riportati in quel rifugio sui monti dell’Orsigna, davanti a quel caminetto, dove un figlio lacrimevole ascolta forse le ultime parole del vecchio padre.

E più i ricordi fanno volare la nostra mente e più brutalmente veniamo rigettati al suolo dalla lucidità e dal distacco con cui Tiziano non li avverta più come suoi, e di come li voglia abbandonare su questa terra, insieme al suo corpo, che altro non è che una zavorra per il suo spirito. Proprio questa separazione dalla misera esistenza mondana gli permetterà di raccontare al figlio l’uomo, piuttosto che il padre e quindi episodi come il tradimento della madre o della sublime sensazione che si prova fumando dell’oppio.

Il lettore non può che far a meno di apprezzare il rifuggire da atteggiamenti paternalistici o perbenisti, anche se questo non farà che acuire l’amara consapevolezza che la conclusione del libro coinciderà con la fine di una meravigliosa vita, di quelle che solo pochi uomini hanno il coraggio di realizzare.

A cinque anni da quella lettura…

1 aprile 2011, per la regia di Jo Baier, con Bruno Ganz, Elio Germano ed Erika Pluhar, esce as Ende ist mein Anfang, tratto dal libro la Fine è il mio inizio di Tiziano Terzani. Mi tremano le vene ai polsi: uno, perché consuetudine vuole che i film tratti da libri, nella maggior parte dei casi, siano dei veri e propri affronti alla letteratura; due, perché temevo la regia e il cast tedesco (anche se leggermente contaminato da un prodotto made in Italy, quale Elio Germano) per realizzare un film con caratteri e ambienti tutti nostrani, o per lo più asiatici.

Ma, superato il pregiudizio, si va alla proiezione. La regia di Jo Baier e di Ulrich Limmer, autore della sceneggiatura insieme a Folco Terzani, ha tentato di rendere sul grande schermo il libro testamento del grande giornalista italiano, ha tentato, ma difficile è riuscirci se i dialoghi vengono relegati a meri collegamenti tra una scena e l’altra, se le musiche di Ludovico Einaudi, sono sovrastate dal seppur gradevole, ma monotono e noto, suono della natura; se non sono rappresentanti, né tantomeno raccontati, alcuni degli snodi narrativi più drammatici del libro, ad eccezion fatta per la morte di Tiziano e la malattia, che sciaguratamente diventano le protagoniste della pellicola; se al di fuori della casa-rifugio, sui monti dell’Orsigna, sembra non esistere alcun mondo: non c’è Vietnam, non c’è Cambogia, c’è a mala pena qualche tratto Cina.

Un dovuto riconoscimento va, però, senz’altro a Bruno Ganz, che nei panni di Tiziano Terzani si è caricato l’onore di portare avanti un’ora e mezza di film, supportando anche le fatiche del giovane Elio Germano che ha interpretato l’intera pellicola in tedesco, ridoppiandola successivamente in italiano, o meglio, con uno stentato accento toscano, proprio lui che fu consacrato al get set per la sua verace e pasoliniana romanità.

Si esce dal cinema con una sensazione di incompiuto, come se nel film si fosse sempre in attesa che ci travolgano quelle stesse emozioni che abbiamo trovato nel libro, magari attraverso dei flashback che facciano riaffiorare cinematograficamente quel fantastico passato; ed invece no, si resta attaccati alla poltrona, speranzosi che non sia venuto in mente a nessuno di sequestrarci per novantotto minuti in uno scambio di domande e risposte sui massimi sistemi, e di non dover decretare l’ennesimo fallimento di un regista che cerca di incatenare, con immagini e voci, sensazioni che solo il silenzio della scrittura/lettura può darti; soprattutto perché, mai come in questo caso, la tragedia poteva essere evitata.

mercoledì 4 maggio 2011

Arriva in Italia il Machete di Rodriguez


Uscito nelle sale statunitensi il 3 Settembre 2010, era già stato presentato come film fuori concorso alla sessantasettesima Mostra internazionale di arte cinematografica di Venezia a fine Luglio, e presentato poi in anteprima con una speciale proiezione di mezzanotte; da noi uscirà il 6 maggio. Il protagonista della storia è Machete Cortez (Danny Trejo) un mercenario assunto per eliminare un senatore corrotto (Robert De Niro). Tradito dai suoi stessi datori di lavoro Machete rimane ferito durante la sua missione. Rimessosi dalle ferite inizia la sua vendetta, aiutato da suo fratello, un prete alquanto atipico.

Il film è l'espansione del finto trailer che Robert Rodriguez aveva realizzato per Grindhouse, e il personaggio di Machete è inoltre simile al personaggio di Zio Machete (interpretato dallo stesso Trejo) presente nel film Spy Kids di Robert Rodriguez. Un trailer fasullo fu pubblicato in rete il 5 maggio 2010, che combinava elementi sia presenti nel film vero e proprio che scene relative al fake trailer "Machete" inserito in Grindhouse, con Trejo che innescava una rivolta contro i politici anti-immigrazione e la vigilanza del confine Messico-Stati Uniti. Secondo Fox News, alcuni critici contro l'immigrazione clandestina sarebbero rimasti offesi dal contenuto del trailer.

Diversi siti autorevoli lo avevano pubblicato, specificandone l'autenticità. Solo dopo che il regista Robert Rodriguez annunciò che si era trattato di uno scherzo, l'8 luglio fu reso disponibile il primo filmato ufficiale allegato all'uscita di Pretadors e The Expendables. Il film ha incassato al suo debutto negli Stati Uniti quasi 4 milioni di dollari, con un risultato complessivo di ben 14 milioni nei quattro giorni di fine settimana, posizionandosi al quarto posto nella classifica dei maggiori incassi dietro the American.

di Stefano Scipioni

venerdì 22 aprile 2011

Thor al cinema dal 27 Aprile



Primogenito del potente Odino, Thor, è destinato a salire al trono di Asgard ma il suo ardente desiderio di affermarsi in battaglia lo spinge ad un'azione avventata che, non fosse per l'intervento salvifico del padre, rischia di mettere a repentaglio la pace e la sicurezza del suo regno. Rammaricato per la delusione procuratagli dall'inadeguatezza del figlio Odino decide di scagliarlo sulla Terra, privato dei suoi poteri e impossibilitato ad usare Mjolnir, il suo micidiale maglio. Almeno fino a che non sarà in grado di usarlo con giudizio.

Caduto nel nostro mondo il dio Thor si imbatte in un gruppo di ricercatori che indagano i curiosi eventi atmosferici che hanno luogo nel New Mexico e in particolare in un'astrofisica dal sorriso facile. Intanto nel regno di Asgard il fratello Loki approfitta di un malessere del padre per salire al trono.

Atteso con la curiosità che merita l'ingresso nel mondo delle pellicole commerciali e fracassone di un regista e attore noto al cinema per i suoi adattamenti shakespeariani, Kenneth Branagh conferma l'idea che pubblico (e probabilmente produzione) avevano di lui. Il suo Thor attinge a piene mani da diverse mitologie shakespeariane, dalla lotta per la successione, agli intrighi di palazzo, dall'uccisione del regnante da parte di un familiare fino all'amore proibito tra due amanti appartenenti a mondi separati. Come previsto il regista si muove con agilità, ma quando l'epica delle relazioni nel mondo dei nobili deve necessariamente tramutarsi in grande epica d'azione, il film mostra tutte le sue debolezze.
Se infatti nel mondo di Asgard il mito trova, sebbene a fatica, una dimensione propria, sulla Terra il film funziona molto meno, incastrato com'è in un New Mexico dal sapore anni '50 che calza male l'occasione. A questo si aggiunga che l'alchimia tra il gigantesco (e solo per questo azzeccato) Chris Hemsworth e la minuta scienziata Natalie Portman, interessante proprio per la lontananza fisica, sulla pellicola non si realizza mai del tutto e il loro rapporto è trattato con sbrigativa banalità, per andare a concentrarsi il prima possibile sulla rapida frustrazione del desiderio d'unione dei due.

Di contro la parte più favorita, quella d'azione fantascientifica, è messa in piedi con uno stile che ricorda i film anni ‘90 sul genere, con un uso straniante dei costumi e delle inquadrature che appare in contraddizione con l’esigenza di grande epica d'azione. In questo modo alla fine, il desiderio di un cinema in grado di unire alto e commerciale, classico e moderno, teatrale e computer grafica si infrange proprio sul terreno più determinante, quello epico.

di Stefano Scipioni

martedì 19 aprile 2011

Scream: ecco il quarto episodio dopo 10 anni


E’ tornato Scream, ed anche lo stesso Wes Craven dietro la cinepresa. La serie originariamente doveva costituire una trilogia, ma dopo quasi ben nove anni i produttori hanno pensato di avviare la produzione di una nuova trilogia. Nel cast figurano tre degli attori già apparsi nei film precedenti: Neve Campbell, David Arquette e Courtney Cox.

Dopo oltre dieci anni dagli omicidi avvenuti a Hollywood, Sidney Prescott è diventata un'autrice di manuali di auto-aiuto e per pubblicizzare il suo ultimo libro, Fuori dall'oscurità, compie un tour promozionale, la cui ultima tappa la riporta alla città natale Woodsboro. Con il ritorno di Sidney, tornano a Woodsboro anche gli efferati omicidi di Ghostface, che dopo oltre un decennio sconvolgono nuovamente la tranquilla cittadina californiana. Dopo l’omicidio di due liceali, lo sceriffo locale Linus avvia le indagini per la caccia al nuovo serial killer, e da li ricomincia l'incubo di Sidney: ogni persona a lei vicina muore brutalmente assassinata. Come avvenuto all'interno dei primi tre film, anche in Scream 4 vengono citate delle regole utili per sopravvivere, in questa occasione rivolte a quelli di nuova generazione: mentre nei film originali per sopravvivere era necessario non fare sesso, ora anche le vergini possono morire.

L'inaspettato è il nuovo cliché, con gli omicidi che diventano più estremi. Inoltre, il remake va oltre l'originale e si adatta alle novità: l'assassino filma i suoi omicidi per pubblicarli online. Scream 4,infatti, più che un sequel, si propone come un remake del primo film della saga: una versione aggiornata all'epoca di internet e dei suoi social network. A undici anni di distanza dall'uscita dell'ultimo episodio, nonostante il rischio di cadere nella ripetitività, il film riesce ad offrire divertimento e suspense, sbeffeggiando tutti gli horror usciti negli ultimi anni e seguendo uno schema narrativo ed estetico che coinvolge attivamente lo spettatore, che non deve essere necessariamente fan della saga.

Wes Craven ha spiegato che, una volta deciso di produrre un nuovo sequel, bisognava tornare con qualcosa per cui ne valesse la pena, che fosse all'altezza della trilogia originaria, sottolineando gli elevati standard imposti da quest'ultima. Secondo Craven, infatti, Scream 4 si rivolge sia ad una nuova generazione di fan che a tutti coloro che hanno già visto i primi tre film e tutti gli altri horror usciti nel corso del successivo decennio.


di Stefano Scipioni